tonnara di Terrauzza - Tonnare siracusane

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Tonnare siracusane
Vai ai contenuti

tonnara di Terrauzza

La Tonnara di Terrauzza.
Era di proprietà del Venerabile Convento di San Francesco di Paola di Siracusa che lo concesse alla famiglia Blanco quando ancora era in funzione ed era ubicata in quel tratto di costa siracusana, che fa seguito al promontorio dell'antico Plemmirione, raggiungibile via terra deviando dalla statale 115 tra il Km 404 e il 405.


dell'antica tonnara di Terrauzza restano oggi solo alcuni ruderi.








Il territorio della contrada di Terrauzza, nonostante le trasformazioni economiche e sociali accentuatesi particolarmente nel secondo dopoguerra, conserva ancora qualche espressione originale del paesaggio ottocentesco. Le ultime masserie, qualche coltura pregiata e la tonnara sono manife¬stazioni segniche di valori umani e territoriali impiantati su tradizioni secolari1.
A primi del secolo scorso due grandi feudi esistevano su queste terre, il feudo Milocca e il feudo Isola del barone Montalto insieme ai tenimenti del barone Bianco. L'assetto paesaggistico- agricolo testimonia con i suoi vigneti e i pingui seminativi l'incidenza economica dell'agricoltura.
Le masserie settecentesche e le case rurali dominavano le coltivazioni segnando il dominio della grande e media proprietà feudale.
La tonnara di Terrauzza, inserita nel feudo Milocca, tra il mare a sud e le terre del feudo Milocca a est e a nord, pur con le sue danneggiate strutture agricole e peschereccie, contribuisce a testimoniare la forza di eredità umane molto resistenti.
Nel 1689 l'esercizio di pesca di Terrauzza fu venduto dalla Regia Corte all'Ordine dei Minimi (sotto il titolo di San Francesco di Paola della città di Siracusa) e rimase appannaggio di quel convento a lungo, figurando ancora nell'elenco dei beni e delle rendite arcivescovili della diocesi siracusana nel 18712.
Nonostante l'indubbio vantaggio di calare le reti prima delle altre tonnare, in quanto protetta dai venti di greco e levante dalla costa di Capo Meli, l'impianto di Terrauzza era danneggiato dalla sua posizione all'interno di una baia un pò distante dagli abituali itinerari dei tonni, inoltre era molestato dal marrobio.
Il padre procuratore del convento, una volta effettuato l'acquisto, ricorse alla pratica dell'affitto secondo la consuetudine dell'epoca, ma a causa della scarsità del pescato, dovette accontentarsi di un canone annuale di venti onze e tre tari, che non sempre furono riscuotibili per mancanza di gabellanti. Dopo circa ottanta anni di pesche irregolari e di modesti introiti, si ritenne opportuno ricorrere ad una nuova forma di contratto, che assicurasse un reddito continuato, optando per la formula del censo enfiteutico. Un introito annuale basso ma sicuro sembrava più vantaggioso, in vista di una svalutazione contenuta in valori accettabili.
Le trattative iniziarono con il nobile Antonio Bianco, il quale avanzò l'offerta di trentatrè onze annuali da pagare in due soluzioni a maggio e ad agosto, sia che la tonnara venisse calata sia non lo fosse, a questa somma si dovevano aggiungere ventisette onze per l'utilizzo del mare, degli apparati, degli ordigni della tonnara, con l'obbligo di migliorare impianto e fabbriche per una spesa di venti onze ogni tre anni. (not. G. Baiona 19 sett. 1756)
L'enfiteuta doveva tenere in conto altre spese per la transazione, fatta a suo tempo con il barone Montalto, possessore del feudo Milocca, con l'obbligo di pagare sei onze e consegnare sei barili di salato annualmente per "l'assettivo del pedale", "lo ius lignandi" ed il servizio di "tono" nel feudo, infine di riservare per i competenti diritti del Viceammiraglio di Siracusa, un tonno oltre alle teste dei pesce spada, (not. S. Mangalaviti 21 luglio 1694)
Don Bianco non aveva intenzione di accollarsi la gestione dell'esercizio di pesca, data la preparazione tecnica e la disponibilità che esigeva, per cui la ricedette a don Giuseppe Scandurra per sei anni, trasferendogli i relativi pesi. (not. G. Baiona 19 sett. 1756).
La consuetudine di affittanza perdurò negli anni pur mantenendo una certa precarietà. Nel 1809 Antonia Bianco, erede del marito Francesco, discendente dell'antico enfiteuta, stende un nuovo contratto, dal quale emergono interessanti informazioni sull'impianto a quella data. Dopo la selezione delle offerte più vantaggiose, la tonnara fu assegnata a Matteo Santoro per settanta onze annuali con l'impegno di saldare il canone enfiteutico ancora vigente, di rispettare i patti con il barone Montalto e con il Viceammiraglio, (not. A. Avolio 17 giugno 1809)
Il Santoro ben sapendo che la tonnara di Terrauzza era "un cespite dai frutti incerti", spesso inaffittata (Riveli Rusticani 1733-12), creò una società composta da sei condomini, tra i quali figura anche il rais Pasquale Sollecito, molto conosciuto a quei tempi per la sua abilità3.
I soci, dopo il regolare saldo d'acquisto promisero, solennemente di partecipare alle spese per l'intero arbitrio della tonnara in proporzione ai carati posseduti, inoltre affidarono al Santoro, qual maggiore capitalista il compito di tenere i conti dell'introito e dell'esito, al Sollecito l'ammi¬nistrazione con l'impegno di comprare quei generi e attrezzi necessari in ampia libertà e di dimorare in tonnara durante la pesca per assistere con diligenza e attenzione la società.
Bisognava premunirsi contro possibili perdite di capitale, impostando non solo un gruppo di lavoro ben qualificato e affiatato, ma anche una precisa e dettagliata divisione dei compiti, non essendo sufficiente la clausola cautelativa, secondo la quale i gabelloti non erano tenuti a pagare l'affitto e gli altri pesi se "per invasioni della contrada o Dio non permetta per attacchi corsari", non si fosse potuta calare la grande rete. (not. A. Avolio 17 giugno 1809)
L'atto steso dal notaio dettagliatamente circa i modi e i tempi di pagamento, l'acquisto degli attrezzi d'uso da rivendere ai proprietari alla fine del contratto, e le relazioni con l'enfiteusi, dà poco spazio alla descrizione dei beni immobili dell'esercizio fornito di stanze, case, magazzini.
Col passare degli anni molte quote della tonnara passarono agli Scandurra, come appare dalla contribuzione fondiaria del 18434.
Non erano tempi facili: i grossi tonni preferivano tenersi a largo della baia di Terrauzza, lasciando il passo ai covariti, agli sgamirri, ai tombarelli, ai meno pregiati pesci chiamati generica¬mente selvaggina. La rete accoglieva la fauna ittica a sud, essendo posto lo sbarramento da ovest ad est. A parte queste particolarità la tonnara di Terrauzza soffriva dei mali comuni alle grandi consorelle come ad esempio le "turbative di possesso".
II marinaio siracusano Melchiorre Castagnino finì nel 1873 sui banchi di giustizia per aver praticato la pesca clandestina nei mari riservati alla tonnara di Terrauzza, con l'aggravante di non poter ignorare i limiti della pesca riservata, essendo stato fittavolo molti anni prima.
La sentenza del pretore del mandamento di Siracusa condannò il pescatore, dopo aver ricono¬sciuto il godimento e il possesso del mare antistante alla costa di Terrauzza, da Capo Meli ai Carcarelli, al proprietario Scandurra e al fittavolo Bottaro. (Minutario delle sentenze 1874 prefett. 38886)
In seguito ad una diminuzione del pescato della seconda metà dell'Ottocento, la tonnara insieme alle altre minori di Fontane Bianche, Ognina e Sta in pace furono prese a censo dal principe di Villadorata, per essere inutilizzate. Fontane Bianche e Terrauzza furono poi rimesse in funzione, mentre le altre si spensero5.
LA PESCA MIRACOLOSA DEL 1904
Ai primi del secolo successivo il quadro possessorio della tonnara era a favore dei due fratelli Francesco e Sebastiano Quadarella, alcuni carati erano stati ceduti ad Alfonso Salibra altri a Raffaele Gentile, passati poi al figlio Sebastiano.
In quel periodo, che fu particolarmente fecondo per la pesca dei tonni, si definiscono e abilità tecniche e finanziarie dei due giovani Quadarella, potenziate anche da un abbondante passo dei tonni. L'esercizio registrò una pesca straordinariamente ricca nel mese di luglio del 1904: 4000 tonni. L'evento eccezionale coinvolse particolarmente la famiglia di Francesco: la figlia minore, nata proprio nel 22 luglio di quell'anno fu chiamata Grazia. Era una forma di ringraziamento alla Madonna da parte non solo di Francesco e dei suoi familiari, ma anche di tutta la ciurma; era un corale atto di gratitudine per la benevolenza del Signore.
L'anno successivo la ditta commerciale Quadarella, di proprietà dei fratelli di Francesco, era tanto solida da aggiungere ai rapporti commerciali delle consuete forniture a Siracusa e a Malta la conduzione dell'industria conserviera di Santa Panagia. Questo ultimo impegno si basava su accordi finanziari ingenti, quali l'acquisto di 150 quintali di pesce al giorno a 37 lire al quintale in un contratto decennale6. (A.F.B. 4)
Le pesche continuano ad essere proficue e in un clima di crescente ottimismo Francesco Quadarella prende in affitto il grande esercizio del principe di Villadorata a Marzamemi. Si prospettavano i soliti impegni dirigenziali e contabili, maggiorati e appesantiti dalla presenza dello stabilimento del sott'olio, dove la moglie, l'energica Emilia, esplicava le sue doti organizzative e manageriali.
Il rinnovamento tecnologico porta, dopo la secolare pratica della salagione, una nuova organiz¬zazione amministrativa: il personale, costituito da molti operai e qualche operaia, moltiplica i problemi del reclutamento e della contabilità salariale.
D'estate, durante il periodo della pesca dei tonni, la famiglia di Francesco lo segue a Marzame¬mi. La piccola Grazia, "la figlia della tonnara" cresce correndo sulla balata, osservando i grossi pesci sanguinolenti appesi nella loggia, ascoltando i canti delle cialome. Quando la campanella posta sull'impennata suona a perdifiato, fa eco il suono più grave della campana di San Francesco di Paola, la chiesetta della tonnara. I pachinesi corrono a frotte: necessitano avventizi e in occasio¬ne di una pesca straordinaria c'è lavoro e guadagno per tutti.
A Marzamemi le giornate di Francesco sono lunghissime, gli impegni pressanti e articolati in campi svariati, ma sussiste il pericolo di un'azienda ad alto rischio.
Quando dopo gli anni '20, improvvisamente e inspiegabilmente per gli operatori dell'epoca, il passo dei tonni si ridusse in modo sensibile, Francesco Quadarella in accordo con il fratello Sebastiano adottò l'accorgimento di ampliare il tratto di mare a sua disposizione, prendendo in affitto l'esercizio della vicina tonnara di Fontane Bianche, affidatagli dal barone Pietro Modica e dal 1925 al 1930 quello di Avola, ceduto in gabella dall'avvocato Loreto.
L'esito dell'operazione fu negativo: il pescato, per quanto praticato con notevole riduzione di spese non riuscì che minimamente a diminuire i pesanti esiti. Gli sfortunati gestori persero tutti i frutti del loro appassionato lavoro .
Con l'esproprio dei beni ecclesiastici, il diritto di pesca di Terrauzza era passato al Fondo Culto, a cui ancora spettava nel 1930, quando una revisione generale della Marina Mercantile sui diritti di calare le tonnare, richiedeva agli uffici competenti i documenti posti a corredo di tale possessione. (Prefett. 3886)
La tonnara produceva ormai poche centinaia di tonni, essendo diventato esercizio esclusivo di selvaggina. I cali continuavano controllati dall'attenta amministrazione della società Sebastiano Quadarella e figli, che aveva sede a Siracusa in Riviera Dionisio il Grande8.
LE FABBRICHE DELLA MASSERIA TONNARA
L'edifìcio settecentesco strutturato in un unico corpo, anomalo rispetto a quello delle grandi tonnare, fu adattato per servire funzionalmente una piccola azienda di pesca, alla quale non fu necessario affiancare uno stabilimento.
Quando la pesca era particolarmente ricca, si sollevava la camera della morte non completamente in modo da creare una specie di vivaio, da cui catturare con calma i tonni nella quantità richiesta.
Sulla fronte rivolta alla strada erano le casette dei marinai, (attualmente semitrasformate da un recupero abitativo interrotto), sul lato prospiciente il mare era una grande loggia, preceduta da una statua di San Francesco da Paola, con il "bilico" per la pesa del pesce, i magazzini per il deposito degli ordigni e sotto l'impennata un piccolo ricovero invernale per due barche. Tutte le altre imbarcazioni, comprese le muciare attendevano il ritorno dell'estate, tirate a secco sulla sottostante riva erbosa. Al piano superiore era l'abitazione dei proprietari, fornita di due cucine e di grandi camere.
All'interno un piccolo tesoro nascosto: un piccolo giardino-orto dove viti e fichi fornivano dolci frutti9.
La destinazione agricolo-peschereccia della piccola tonnara, messa in opera da una ciurma di 20 uomini, consentiva contemporaneamente lo svolgimento del lavoro nei campi, che consistente in età ottocentesca trova conferma negli atti di gabella dove il proprietario si riservava di escludere dal contratto la stalla, la pagliera e la casa rurale10.
Al tempo della pesca le mogli dei marinai a piedi si recavano a piedi a Terrauzza trasportando in ceste le loro masserizie. I loro compiti primari erano relativi alla confezione del cibo, che pur nella sua semplicità forniva le energie necessarie al faticoso lavoro. Il pesce non mancava mai e neppure insalate ed erbette selvatiche facili da reperire ai margini dei campi coltivati tra la vegetazione spontanea, secondo una secolare tradizione contadina.
Oggi tali locali adibiti all'esercizio della pesca sono diruti o fatiscenti con tracce di muri
perimetrali, non facilmente riconoscibili nelle forme originarie.
Intorno al 1960 la tonnarella divenne il punto di appoggio di pescatori part-time, protagonisti di una pesca solitaria e modesta, ben diversa dalla grandiosa e rituale cattura dei tonni.
1 La Tonnara di Terrauzza è ubicata in quel tratto di costa siracusana, che fa seguito al promontorio dell'antico Plemmirione, raggiungibile via terra deviando dalla statale 115 tra il Km 404 e il 405.
2 Beni e rendite che costituiscono il patrimonio della Mensa Arcivescovile, redatto dal Subeconomato per la gestione del 1871.
3 Le rate della società fondata dal Santoro erano così suddivise: 4 carati al sig. Sollecito
4 carati al sig. Miceli 4 carati al sig. Natali 2 carati al sig. Giaracà 2 carati al sig. Corpaci 7 carati al sig. Santoro
Il carato mancante, frazionato in sessantesimi era ripartito tra i soci.
4 Dalla Contribuzione Fondiaria del 1843 la tonnara risulta accatastata: casa di abitazione di stanze 5 e cucina, bassi 5 per uso di tonnara.
5 P. Pavesi, op. cit.
6 Erano soci in affari nelle operazioni finanziarie del 1905 anche Francesco e Carmelo Cappuccio, Ernesto Quadarella. È da aggiungere che al costo giornaliero di 5500 lire per l'acquisto di 150 quintali di tonni gravava la grossa cauzione di 8000 lire. Da una lettera dei Soci al barone Michele Bonanno e del 19 ottobre 1905. (A.F.B. 4).
7 Le notizie provengono dalla Signora Grazia Moncada Quadarella, figlia dell'imprenditore Francesco.
8 Dalla Guida economica della Sicilia e Sardegna e del Mezzogiorno d'Italia, Apollon, Roma, 1957-58.
9 Le notizie sono state fornite dall'onorevole Raffaele Gentile.
10 Neil'Atlante dei Beni culturali Siciliani, Palermo, 1988 cit. la tonnara di Terrauzza appare come "masseria tonnara".
Torna ai contenuti