Occhiogrosso Francesco - CASFirenze59corso

corso 1966/67
59° corso Carabinieri Allievi Sottufficiali 1966/67
Nè la distanza, nè il tempo, potranno mai cancellare l'amicizia che ci unisce
Forti legami rimangono, perchè inseme abbiamo vissuto e condiviso Valori-Esperienze-Emozioni
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Occhiogrosso Francesco

Allievi ieri e oggi
LA SACRALITA’ DEL CIBO

Recuperare sbiaditi ricordi sul rapporto del cibo ha significato per me intraprendere un nebuloso cammino, a ritroso di oltre sessant’anni del mio vissuto personale.
Negli anni quaranta la mia famiglia, viveva in una casetta in locazione, composta da due vani ed una piccola stalla, con tettoia, sul retro. Mio padre era bracciante agricolo e mia madre casalinga a tempo pieno, dovendo badare alle faccende di casa e a cinque figli da allevare. Né le mancava occasione di prendere parte anche ai lavori agricoli durante il raccolto delle mandorle o delle olive.
La cucina rappresentava il cuore pulsante della casa sia per la presenza del fuoco, sempre acceso e fonte di conforto, sia per la preparazione quasi costante dei cibi.  Era certo che in ogni momento, nella pignatta posta vicino al fuoco bollisse sempre qualcosa che doveva assicurare il pasto principale della giornata: fave, ceci, lenticchie, fagioli, cicerchie, piselli o altro. A detto pasto, solo saltuariamente, seguiva anche qualche “noce” di formaggio pecorino e della frittura con verdure di stagione.  In quel locale si passava gran parte del tempo e l’odore delle minestre ci accompagnava per tutto il resto della giornata, impregnando i vestiti di quell’esalazione.
In certe giornate fredde e piovose, quando non si poteva lavorare nei campi, era l’occasione buona per ravvivare il fuoco e dare mano all’impasto di qualche chilo di farina per ricavare frittelle ripiene di cipolle (“sponzale”) e ricotta forte. Erano le poche occasioni in cui tutti in famiglia mangiavamo a sazietà.
In quegli anni, nei piccoli centri agricoli, come il mio, ogni famiglia allevava qualche pecora o capra. Per far sì che dal latte munto si potesse ricavare una buona forma di formaggio, le donne del vicinato si associavano a gruppi di cinque o sei e a turno, ogni mattina, consegnavano il latte ad una di esse, a vicenda.
Quando toccava il turno alla mamma, di buon ora accendeva il fuoco e predisponeva il pentolone ove versava il latte fresco.  Dopo, quasi fosse un rito sacro, a fuoco lento, molto lento, con l’aggiunta del caglio attendeva che si formasse una soffice pasta bianca. La mamma immergeva le mani esperte e sapienti nel liquido paglierino, raccoglieva la pasta in un unico blocco e lo infilava nell’apposito canestro di vimini. Dopo, aggiungeva ancora un poco di latte fresco nel pentolone e subito, in superficie, si coagulava la ricotta che veniva raccolta con un apposito cucchiaio e deposta in piccoli recipienti cilindrici.
A quell’ora il sole già faceva filtrare i primi raggi dal lucernaio e la mamma dava la sveglia: “uagnune, alzateve che la r’cotte jè pronte”. Noi, tre fratelli di età scolare, saltavamo dal materasso di foglie di pannocchia e, come lupacchiotti affamati, consumavamo la ricotta ancora fumante nell’unico piatto centrale della tavola. Poi, chi voleva, beveva anche una ciotola di siero caldo e saporito. La rimanenza del siero veniva recuperato per preparare un pastone con la crusca per le pecore e conigli.
La mamma ci osservava con tenerezza mentre badava alla sistemazione della cucina ed era molto contenta per essere stata l’artefice di quella serenità familiare. Ella donava tutta se stessa, non solo nel cucinare, nel coltivare, nel raccogliere, nel conservare, ma anche nel nutrirci sin dal primo momento.
La domenica e nelle ricorrenze speciali, sulla tavola appariva la tovaglia, quella di lino ricamata dalla mamma con le proprie mani ancor prima di sposarsi. Quella tovaglia rappresentava un oggetto del tempo passato e trasmetteva a noi figli la continuità tra le generazioni.
Quei pranzi accuratamente preparati duravano più del solito e non mancavano occasioni che venissero a trovarci zii e cugini ai quali si offriva loro pasticcini e rosolio, rigorosamente fatti in casa.
In quegli anni il cibo scarseggiava quasi sempre ma quel poco, prevalentemente preparato in casa, era genuino e frutto del sudore e dell’amore delle casalinghe che lo confezionavano. La scarsezza del pane si accentuò ancor più durante l’ultimo periodo bellico quando il governo, per sopperire allo sforzo bellico, razionò alcuni viveri. Le mamme per sfamare le “cucciolate” erano costrette a ricorrere alla borsa nera o allo scambio di merci. Con l’arrivo degli alleati, inglesi e americani, il mercato si liberalizzò di molto e nei negozi apparvero i primi prodotti alimentari di quei paesi: biscotti, cioccolato, carne in scatola e gomme da masticare.
 Per certi versi, a ben riflettere, non sono da invidiare i ragazzi di oggi che, costretti a vivere in una società tecnologica hanno perso tanti   piaceri dell’infanzia di un tempo. Hanno perso il piacere di riempirsi la bocca di gelsi viola mentre i grandi dormono; la curiosità di osservare, immobili in ginocchio, nella controra, il solerte lavoro delle formiche per rimpinguare di cibo il formicaio o l’andirivieni frenetico di una rondine nel portare nel becco l’insetto ai suoi rondinini.
Oggi, di solito, i componenti di una famiglia s’incontrano o si radunano attorno alla tavola di sera, quasi per caso a cena, quando tutti rientrano dal lavoro o dalla scuola. Quello dovrebbe essere vissuto come un tempo privilegiato di sospensione dalla fretta e, quasi fosse un rito, riscoprire la sacralità del cibo.


raccolta delle olive


UNA STORIA  IN BREVE



Già militante nell’Arma dei carabinieri e congedato con il grado di maresciallo maggiore, la notte del primo agosto dell’anno duemilaquattro, in Campomarino di Maruggio ( TA), dopo una serata passata in compagnia di un pittore, la trascorsi nel giardino della villetta a contemplare la volta celeste.

Per tutta la serata avevamo parlato di colori e di trulli, di maestosi ulivi e masserie diroccate. In quel  periodo ero minato nel fisico ed ero imprigionato in una latente depressione. Mentre il mio sguardo esplorava il luccichio del firmamento, vidi saettare due stelle cadenti sopra la mia testa. Fu come scoperchiare una pentola in ebollizione. Nella mia mente iniziarono a frullare progetti per il futuro e tanta voglia di recuperare il tempo perduto. Decisi di prendere confidenza con la pittura e poi con la poesia e la narrativa. Incominciai a frequentare mostre d’arte e a  partecipare a concorsi letterari, riscuotendo subito incoraggianti giudizi .

Scoperto l’amore per l’arte e rinvigorita la voglia del sapere, ora desidero ardentemente continuare il cammino intrapreso per dare il mio contributo, anche se piccolo, nel rappresentare  con i colori e con lo scritto la mia terra, la cara Bitetto e la Puglia tutta.

Riconoscimenti acquisiti:

-Anno 2oo5 – Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Città di Bitetto” – Sez. Poesia “ Menzione Speciale” per l’opera “ Maggio 2oo3”;

-Anno 2oo7 – Premio Letterario Vincenzo Fragassi Città di Modugno – Narrativa – 3° classificato per l’opera “ Dalla stella  Alpina alla Malvarosa”;

-Anno 2oo7 – Premio Nazionale di poesia e narrativa città di Bitetto – Sez. Narrativa inedita -  1° classificato per il racconto “ All’ombra del carrubo” ;

Anno 2oo9 – Premio Nazionale letterario “ Cavallino Hotel” di Modugno – Sez. narrativa – 1° classificato  per l’opera “ La casa di via Gelso “,

-Anno 2010 – Concorso Letterario “ Don  Nicola Milano” di Modugno – Sez. narrativa – 1° classificato per l’opera “ La forza dell’amore come un’esplosione di stelle”;

-Anno 2010 – Premio internazionale città di Bitetto – Sez. narrativa – Premio Speciale della Giuria per l’opera “ Una vita spezzata”;

-Anno 2011 – Concorso di Creatività Libera Università  della Terza Età di Rutigliano -  Sez. pittura creativa – 1° premio per l’opera pittorica su pietra  “ La Pausa”;

-Anno 2011-  Concorso di Creatività Libera università della terza età di Rutigliano – Sez.  scrittura creativa-  1° classificato per l’opera “ Gli Italiani all’estero”;

-Anno 2011 – Premio internaz. di poesia e narrativa Città di Bitetto – Sez. racconti inediti – 1° classificato per l’opera “ Una crosta di Pane”;

Anno 2011 – Concorso Letterario  “ Don Nicola Milano” di Modugno – sez. narrativa – 1° classificato per l’opera “ 150…… e l’Italia Csnta?;

2012 – Premio internaz. Città di Bitetto – sez. narrativa – 3° classificato exequo per l’opera “ Le Campane di Santa Maria Nivella”;

Anno 2012 – Concorso letterario Università della Terza età di Rutigliano – sez. scrittura creativa -  1° classificato per l’opera “ Il vento di Grecale”;

Anno 2012 – Concorso letterario “ Nicola Milano”  di Modugno – sez. narrativa -  1° classificato per l’opera “ Io Vorrei”;

Anno 2013 – Concorso letterario della LILT – sez. provinciale di Bari – “ Racconti e versi di vita” – sezione racconti -  1° classificato per l’opera “ La Bisaccia del sapere”;

Anno 2013 – Concorso letterario “ Don Nicola Milano”dI Modugno   sez. narrativa  3” classificato per  l’opera  “ La Felicità”;

Anno 2013 – Premio internaz. Di Poesia e Narrativa città di Bitetto – sez. Silloge Poetica Inedita -  2° premio per l’opera “ I Canti dell’anima”;

Anno 2013 – Concorso di Creatività indetto dalla Università della Terra  età di Rutigliano – sez. pittura creativa – 2° classificato per l’opera – pittura su pietra – “ La natura e l’Infinito nel sorriso di un Bambino”.

Anno 2014 – Concorso della Creatività indetto dall Università della Terza Età di Rutigliano  - sez. scrittura creativa –  “ Il volto e l’anima dei popoli europei” – premiato con OPERA SEGNALATA.

Anno 2014 – Premio Intern. di Poesia e Narrativa “ Città di Bitetto” – MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA -  PER IL RACCONTO INEDITO  “ Il Carrettiere”

Anno 2014 – Concorso letterario indetto  dalla   LILT di Bari – risultato finalista e poi classificatosi secondo per il racconto inedito “ Un chicco di grano”,

Anno 2014 – Concorso di Poesia inedita indetto dall’Associazione Culturale il Papavero d’Oro di Toritto – risultato primo classificato con la poesia  “ La bellezza della vita”.

Anno 2014 – Concorso letterario indetto dalla Università della Terra Età di Putignano – assegnato il primo premio per il racconto inedito “ Le tue radici”.

BITETTO novembre 2014

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                                                                                                                                Francesco Occhiogrosso

L'arno e Ponte Vecchio 1966 poesia

L’ARNO E PONTE VECCHIO1966 di Francesco Occhiogrosso
La torbida acqua dell’Arno
scorreva tumultuosa
sotto le arcate dei
ponti
cancellando i loro riflessi.
Ponte Vecchio
resisteva fiero e silenzioso
e rivolto all’amico fiume,
sommessamente, invocava:
“Fratello mi fai male,
se continui così
mi strapperai le membra
e mi soffocherai.
Sono forte e resistente
ma questa tua irruenza
mi sembra eccessiva.
Calmati dunque,
non vedi che Firenze piange?”
“Vorrei fermarmi ma non posso,
mi spingono da monte a valle
e non riesco più il mio
cammino a controllare.”
Dalla cima del colle allora,
i cipressi del Viottolone,
udito le sommesse invocazioni,
inviarono un fruscio di chiome:
“Non ti arrendere Grande Vecchio,
che il peggio è passato.
Di quassù,verso il Falterona,
vediamo il cielo rischiarare.”
E un pallido sole fece capolino
fra le nuvole diradate del Casentino.
Il corrucciato Arno
ritornò docile,
come un bimbo rabbonito.
Sembrava silenzioso e docile
ma in quella circostanza
aveva tante cose
da farsi perdonare.
E’ così, da tempo
lungo gli anni,
ora calmo ora veemente,
l’Arno scorre sempre
insieme alla storia di Firenze.

VI LASCIO CAMPI DAI VERDI ULIVI
La vaporiera fumosa
rompe la quiete della campagna.
All’ora dei vespri
sale lungo l’Adriatico selvaggio
carico di emigranti,
pieni di speranza e di coraggio.
Vi lascio campi dai verdi ulivi
e masserie diroccate,
altri sono i progetti miei.
Roma eterna è la prima tappa,
per giurare sì alla Patria
e dire addio alla soma.
Nella famiglia dell’Arma
sono all’inizio della carriera,
e dalla terra dei trulli,
a quella del Tirolo,
la strada è tutta in salita.
Oh mamma com’è cambiata la mia vita!
Francesco Occhiogrosso



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