Autonomia Sicilia - Sicilia

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Autonomia Sicilia

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Da sempre noi sicilianici chiediamo come mai lo Statuto speciale della Regione Siciliana non sia stato mai attuato integralmente. Proviamo a fare un tentativo di capirne le ragioni. Questo filmato è una premessa introduttiva alle varie problematiche volute o non volute. Prossimamente una seconda parte con ulteriori approfondimenti. Chi vuole può aiutarci a capire meglio. I testi sono tratti dal libro di Massimo Costa "Introduzione allo studio dell'Autonomia siciliana"
 


 
Che cos'è l'Autonomia?
 
In tutti i regimi autoritari o totalitari lo Stato assume tutti i poteri, schiacciando la libertà del cittadi­no, che, anzi, non può più dirsi veramente tale ma solo "suddito", cioè soggetto alla volontà dello Stato, al suo arbitrio.
 
E questa è proprio una delle più grandi differenze tra un ordinamento libero e una dittatura. In tutti i paesi del mondo, infatti, spetta allo Stato esercitare la sovranità per evitare gli abusi privati e l'anar­chia. Ma ci sono Stati che sono in sostanza padroni della vita di tutti coloro che vivono sotto il loro potere, e stati che invece si comportano come se fossero un "condominio", cioè il frutto di un contrat­to sociale tra tutti i cittadini, i quali cedono un po' della loro libertà, per avere giustizia, sicurezza, benessere.
 
Un concetto molto importante che è stato sviluppato nel tempo è quello del principio di sussidia­rietà, che indica come lo Stato si possa sostituire al cittadino o a formazioni più vicine al cittadino, solo quando ciò è veramente utile, anzi indispensabile. Laddove è possibile, invece, è meglio che i cittadini si organizzino da soli.
 
Ci sono due tipi di sussidiarietà.
 
La prima è quella orizzontale. Secondo questa è bene che tutta la Pubblica Amministrazione non intervenga nell'economia e nella società fin dove ciò è possibile e conveniente. Saranno i cittadini, o ad uno ad uno come persone, o in forma associata, per mezzo di associazioni, fondazioni, comitati, par­titi, sindacati, imprese e società commerciali, e così via, ad organizzare la propria vita, la propria cultu­ra, la propria società, la propria economia. Oggi questo principio è fortemente a rischio. La capacità, attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, di controllare smisurate masse di dati, e i progressi nelle scienze della comunicazione e del comportamento umano, fanno si che pochi poten­ti, attraverso i loro mezzi, entrino sempre di più nella vita dei singoli e cerchino di determinarla. Anche lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni sono tentate dal desiderio di determinare tutto, finanche la vita interna delle famiglie e degli individui, laddove il loro vero compito sarebbe quello di difendere la libertà e di promuoverne anche il valore presso i cittadini tutti. La Costituzione della Repubblica italia­na difende solennemente questi diritti soggettivi e queste libertà ma nei fatti la difesa non è mai acqui­sita una volta e per sempre.
 
La seconda è quella verticale. Lo Stato, cioè, a sua volta, se è possibile, è bene che sia quanto più vicino al cittadino. Come può fare questo? Attraverso due strumenti: il Decentramento in senso pro­prio o gerarchico e il decentramento in senso improprio o autarchico, cioè l'Autonomia.
 
Nel primo caso lo Stato organizza i propri uffici in modo che la gestione dei servizi pubblici sia quanto più possibile diffusa sul territorio, anche se questo potrà comportare maggiori costi dal punto di vista strettamente economico per l'azienda pubblica. Il cittadino deve sentire lo Stato vicino, il funzio­nario pubblico come un interlocutore visibile, e questo anche a prescindere dalla facilità di accesso tele­matico ai servizi pubblici che oggi permette di avvicinare a costi minori la Pubblica Amministrazione al cittadino. Nel decentramento si costituiscono uffici, per ogni branca della pubblica amministrazione, presenti un po' dappertutto, e si decentrano non solo i servizi, ma anche le decisioni. Nel decentramen­to, però, lo Stato resta un'organizzazione unitaria che, in ultimo, è sovraordinata a tutto e decide tutto.
 
Più potente, quindi, è l'Autonomia. Con l'Autonomia lo Stato costituisce o riconosce altri enti pub­blici ai quali delega risorse, decisioni, personale e servizi pubblici; lo Stato si limita a programmare, prima, e a controllare, dopo, quello che questi enti fanno o realizzano. Ad esempio ogni singola Scuola è dotata di una certa autonomia, riconosciuta dalla legge: può gestire un suo piccolo bilancio, può gesti­re un po' dei propri programmi e cosi via.
 
Ma anche l'Autonomia è, a sua volta, di due tipi: funzionale e territoriale.
 
Nel primo caso un certo servizio (le pensioni, l'istruzione, la sanità,...) è scorporato dallo Stato o da un altro ente pubblico ed è affidato ad un ente specializzato. Ma in questo caso, quest'ente, per quanto autonomo, non sarà mai dotato di poteri propri, ma sarà soltanto la longa manus dello Stato o dell'al­tro ente che lo ha creato e che può riprendersi quando vuole, almeno in teoria, tutti i propri poteri.
 
Nel secondo caso lo Stato riconosce che, al suo interno, esistono delle comunità territoriali più pic­cole che, sebbene ovviamente subordinate allo Stato stesso, hanno una loro legittimazione democrati­ca non meno rilevante di quella dello Stato. È molto importante che lo Stato riconosca che tutte le comunità territoriali di cui è composto abbiano una loro identità, una vita propria, che spesso è più anti­ca di quella dello Stato stesso. Solo le dittature cercano di cancellare ogni differenza nel territorio per affidare ogni decisione ad un despota che sta al centro.
 
Tutti gli stati del mondo riconoscono una comunità di base universale, il Comune, che rappresenta la prima forma di aggregazione dei cittadini, sia esso una grande metropoli, una città, un piccolo pae­sino, o addirittura soltanto un villaggio. Ma molti stati riconoscono anche formazioni intermedie; alcu­ne sono piccole, con pochi poteri e con una scarsa identità territoriale, e in genere sono chiamate pro­vince, distretti, contee, o con dizione simile; altre sono più grandi ed hanno in genere una più forte identità e maggiori poteri. Queste formazioni, se sono antichi "stati" sovrani che hanno ceduto la loro sovranità, mantengono il nome di "stati federati", come in Germania, o negli Stati Uniti o in Svizzera. Se invece hanno ottenuto questa autonomia per un riconoscimento in un momento successivo, come cessione di poteri dal centro alla periferia, allora in genere si chiamano "regioni" o "province autono­me", come in Italia o in Spagna. Nel primo caso si parla di stati federali, nel secondo caso di stati regionali, ma è una differenza soltanto storica o formale, perché spesso le Regioni hanno più poteri degli Stati federati.
 
Una cosa molto diversa è invece la Confederazione, quando gli Stati cedono una parte della propria sovranità ad un ente superiore, senza rinunciarvi del tutto. Le Confederazioni sono fragili. In genere o si rompono o si trasformano in Stati federali. Esempi storici sono quelli degli Stati Uniti nei primi anni di vita (quando ancora non c'erano un'Unione e un Presidente), o della Svizzera, che fino al 1847 era "Confederazione Elvetica", o della Germania prima dell'unificazione, nell'Ottocento, quando era una "Confederazione", dentro la quale c'erano stati grandi che certe volte si facevano pure la guerra tra di loro (Austria, Prussia) o, più recentemente, la "Serbia-Montenegro" che è durata solo qualche anno. Secondo alcuni anche l'attuale Unione Europea di fatto è una Confederazione di cui farebbe parte l'Italia che, in questo senso, non sarebbe più un paese completamente sovrano.
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