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Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Ho amato ed amo la vita mio Signore, non temo il tramonto, spero nell'aurora mattutina inizio di una nuova era
ricordare il passato, vivere il presente e progettare il futuro
ricordare il passato, vivere il presente e progettare il futuro sperando in un mondo solo degno di essere vissuto
Ho amato ed amo la vita mio Signore, non temo il tramonto, spero nell'aurora mattutina inizio di una nuova era
un mondo solo nel rispetto delle diversità
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secondo episodio

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4 Aprile 2022
Secondo episodio
Il 17 Luglio 1960 ero a Torino presso la Caserma Cernaia per la frequenza del corso allievi carabinieri che si concluse in Aprile del 1961.
Finito il corso eravamo in febbrile attesa di destinazione passati a bighellonare per la caserma, annoiati e senza costrutto.
In quei giorni molti del mio corso furono destinati a Genova e in Liguria mentre noi aspettavamo e, finalmente, il pomeriggio del 12 Giugno, giunse l’ordine perentorio di preparare zaini, buffetteria, armi, bagagli e in uniforme di tela cachi fummo caricati sui camion che ci condussero nella locale stazione ferroviaria dove salimmo su un treno- tradotta militare. Viaggiammo tutta la notte senza sapere quale fosse la destinazione e, all’alba del 13 Giugno, insieme al mio gruppo di circa 20 giovani carabinieri, fummo fatti scendere nella piccola stazione di Tel, frazione del comune di Parcines, in Val Venosta, a pochi chilometri da Merano, e alloggiati in un alberghetto, Bad Egart, limitrofo alla ferrovia.
Comandava il gruppo un giovane brigadiere che ci assegnò i turni di servizio che erano di vigilanza alla linea ferroviaria in quel tratto.
Per tutto l’inverno fu una vita quasi da quarantena da ventunenne in ambiente ostile per ragioni di lingua, temperature rigide, mal sopportate da me siracusano abituato al sole e alle miti temperature della mia Sicilia.
Nel mese di dicembre accettai l’interpellanza e fui trasferito nel capoluogo Bolzano presso il comando gruppo con sede nella omonima caserma di via Dante, e lì prestai servizio fin quasi alla fine dell’estate.
Estate, tempo di balneazione per me vissuto in zona marittima, ma in quella regione c’erano solo fiumi e laghi senza altra alternativa.
Un giorno, liberi dal servizio, con il collega Rimaudo che conosceva la zona essendo lì da molto più tempo di me, in abiti civili e indosso il costume da bagno, a bordo del suo motorino “Orsetto”, percorrendo vie e montagne a me sconosciute, attraverso una trazzera in discesa giungemmo sulla riva del fiume Isarco.
Era per me la prima volta e forse lo era anche per il mio collega, il quale, visto lo scorrere impetuoso dell’acqua, non volle bagnarsi mentre io, siracusano spocchioso, abile nuotatore, patentato con diploma di nuoto e salvamento frequentato a Torino, temerario e incosciente quale ero, mi avvicinai alla riva e mi tuffai come avevo sempre fatto nel mio mare a Siracusa.
Da quel momento non ebbi più percezione del tempo perché la corrente impetuosa mi agguantò trascinandomi verso un destino di sicura morte.
Non so come, ma credo di aver “volato” per almeno un chilometro, quando mi ritrovai sulla riva destra del fiume, improvvisamente docile e fermo, anche se freddo, con la pancia e il petto poggiati sul fondo roccioso e con le mani aggrappato ad un grosso scoglio affiorante.
Fu un caso o qualcuno da Lassù era intervenuto parcheggiandomi in quella provvidenziale insenatura?



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