quartiere Giudecca - ortigia heritage

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Ortigia
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quartiere Giudecca

Giudecca
Siracusa terzo itinerario-quartiere Giudecca
Siracusa terzo itinerario
il quartiere Giudecca




Premessa storica
gli Ebrei a Siracusa
Gli Ebrei, presenti a Siracusa fin dal VIII secolo, già dal 1300 vivevano a Siracusa nel ghetto del rione San Giovanni fuori le Mura.
Alla fine del VII secolo d.C., si stabilirono nel rione della Giudecca, dove ebbero un Ospedale, una prima Sinagoga, dove oggi sorge la Chiesa di San Filippo, e una probabile seconda Sinagoga ove oggi c'è la Chiesa di San Giovannello, l’antico bagno rituale ebraico, la beccheria e le movimentate botteghe che in ogni tempo hanno conferito al quartiere vitalità e colore, anche dopo il terremoto del 1693, quando ripristinarono le antiche botteghe e con esse l'industrioso commercio.
Apprendiamo da Federico Fazio che, l’ospedale e atri servizi, potrebbero aver avuto sede nel complesso chiamato “baglio”, oggi degradato e in parziale stato di rudere, attuali numeri civici 26/32, all’angolo tra il vicolo dell’Olivo e la ruga della Plaza Vecha, (piazza vecchia), oggi via Alagona e che, secondo le fonti, era una casa con cortile, pozzo e forno, costruito sul sito di un precedente cortile e di un ampio spazio di pertinenza a giardino.
La tipologia del baglio, secondo Federico Fazio, era a pianta quadrangolare e comprendeva una costruzione in genere ospitante un pozzo e con le aperture tutte rivolte verso l’interno della corte. Nel presunto “baglio” di vicolo dell’Olivo, è documentata la residenza di un alto personaggio della comunità ebraica.
L’edificio, nella sua conformazione attuale, evidenziato dal rilievo di Federico Fazio, nel quale comprende, il “Viridario” e la scala catalana in pietra, le finestre all’interno della corte, il finestrone con motivo Tudor, confermerebbe che trattavasi di un plesso di notevole importanza.
Poche le tracce storiche rimaste e tra queste le lastre funebri, forse dell'area cimiteriale di Santa Lucia, rinvenute nel porto piccolo nel 1892 e oggi custodite nel cortile della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo.
L’architrave bizantina è forse la prova che alla Giudecca soggiornarono gli Ebrei. Capodieci scrisse che il 2 Giugno 1811 ricevette in dono l’architrave dal proprietario della casa il Sig. Cataldo Naro e la portò al “patrio museo”. Sembra però che fosse già stata scoperta, alla metà del Settecento, nel giardino indicato quale “Viridario”, da Cesare Gaetani della Torre, il quale la tradusse in latino: “Siciliae et objacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio, Palermo 1769. Clas VII.IX: «Et Zachariae nomen, e Locus, e quo suit Marmor defossum, Monumentum hoc esse Judaeorum aperte demonstrant; neque novum hoc in Sicilia”. (da “i luoghi degli Ebrei a Siracusa” di Federico Fazio).
Espulsi con l’editto del 31 Marzo 1492 alcuni optarono convertirsi al Cattolicesimo e rimasero in città.
L’antico quartiere Giudecca.
Storia, immagini, memoria, aneddoti e curiosità
L’antico quartiere medievale, era compreso, orientativamente, tra le vie Nizza, Galilei, via Roma e via della Maestranza.
L’impianto viario dei vicoli e stradelle ricalca quasi certamente, dal punto di vista planimetrico, l’antica tipologia greca a “stringas”, convergente nell’asse viario della via della Giudecca, la vecchia platea Judaice, allargata nel 1592 dai frati di San Francesco di Paola che per edificare il loro convento abbatterono un intero isolato di fronte all’ex sinagoga, oggi chiesa di San Giovannello.
Scavi archeologici recenti hanno permesso di individuare un tratto di strada est-ovest lunga circa 40 metri in prosecuzione del tracciato di ronco 1° e vicolo 2° alla Giudecca, parallelo a via Maestranza, che, secondo Giuseppe Pagnano, potrebbe essere l’assetto urbano medievale dopo il sisma del 1169.
La via della Giudecca inizia dall’incrocio con via della Maestranza, piazza Corpaci, e finisce ad angolo con la via Logoteta.
Nel dopoguerra e fino agli anni 60, “A Jureca”, brulicante di bambini e persone, era mitica e piena di vita. Venditori ambulanti che incantavano con il loro personale “vanniari” a cantilena, inconfondibile e riconoscibile dalla speciale nota, che noi ragazzi nella piena libertà cercavamo di imitare.
Imboccando la via Giudecca la prima cosa che sentivamo, noi ragazzi degli anni 40, era il profumo del pane, e dei biscotti appena sfornati nei vari panifici e i forni numerosissimi in tutta la via, una goduria per noi ragazzi di strada vissuti in quel dopoguerra di ricostruzione ma anche di fame.
Un vero mercato popolare dove potevi trovare di tutto. Bancarelle e botteghe di frutta e verdura, negozi di genere alimentari, macellerie, Giudice, Di Natale, Peluso, “a scanna ri Bittinchi”, di basso macello per le classi meno abbienti, e ancora le pompe funebri di De Grande, barbieri, fotografi, tabaccai, osterie, negozi di ferramenta e pitture, (Pizzo), e una miriade di attività turbinose che offrivano una capacità di servizio che abbracciava tutta Ortigia.
All’inizio della via, nei bassi a sinistra, un negozio di uccelli e gabbie, a seguire, frutta e verdura, negozio della famiglia Carnemolla, accanto la famiglia Lacagnina, un fornaio, e quindi il vicolo dell’Olivo dove, oltre a quanto già detto, si affacciano le facciate posteriori dei palazzi Ardizzone, Blanco, Danieli-Rizza e Pancali, con ingresso da via della Maestranza.
Subito dopo il vicolo, “u gazzusaru”, Gravè e poi piazza San Filippo con il chiosco di bevande e bibite frizzanti, carretti con frutta e verdura offerta a prezzi accessibili.
E poi l'abbandono e il declino! Oggi la Giudecca è muta e immobile e vive nei ricordi di qualcuno di noi “vecchi”. Qualche sfuggevole turista, passando da quelle parti, non riuscirà mai a capire cos’era la Giudecca di noi ragazzi del tempo che fu.
Il bar al servizio della zona era lo storico caffè Bottaro, a “cantunera” con ingresso da via della Maestranza, frequentato sopra tutto da operai. Poco più su al civico 10 della Giudecca, l’ingresso al palazzo e poi, se non ricordo male, il panificio Schiavo.
Ed ancora, a seguire, il portone di ingresso ad un palazzo con all’interno un cortile nel quale, a sinistra, un basso interno adibito a magazzino deposito mobili di Fazzina, con il quale lavorai per qualche tempo anche nel suo negozio di via Gargallo. In quello stabile, al primo piano l’abitazione del mio amico Marcello Spampinato e famiglia.
Poco più avanti, a destra, vicolo 1° alla Giudecca che conduce in via Laberinto, dov’è la facciata posteriore dell’antico monastero di Santa Maria delle Monache, e l’ingresso all’aula consiliare della provincia, risistemata negli anni 1870 e seguenti, su progetto di Gaetano Avolio con lavori diretti dall'Ingegnere Capo dell'ufficio tecnico Luigi Schisano, eseguiti dalla ditta Giuseppe D' Aquino che realizzò le decorazioni in legno noce, mentre quelle su pietra da taglio sono opere di Salvatore Agati e Luciano Patania. L’aula consiliare della provincia, attiva dal 1870 è stata utilizzata fino al 1970.
La via Laberinto, con un tortuoso percorso contornato dal retro della chiesa e del monastero di Santa Maria che assunsero le forme barocche attuali tra il 1652 e il 1658, ad opera di Michelangelo Bonamici, collega la via della Maestranza a via del Crocifisso.
Nel cantonale, angolo vicolo primo via Laberinto, il caratteristico palazzo barocco, 1698, della famiglia Midiri, poi Statella, ed oggi proprietà Bramante.
La via Laberinto, si immette in via del Crocifisso che collega la via Roma alla via della Giudecca, piazza San Filippo, con la splendida chiesa dedicata a San Filippo Apostolo che venne edificata nel 1742, dalla Confraternita di S. Filippo, nel sito dov’era la prima chiesa, interamente distrutta dal terremoto del 1693. Danneggiata dai bombardamenti del 1943 venne restaurata in tempi recenti.
In Via del Crocifisso, civico 74, con semplici ed eleganti forme in pietra calcarea, la bella edicola del Crocifisso, 152 x 155 cm. Venne realizzata, probabilmente dal proprietario della casa, a nicchia, con arco a tutto sesto a fascia e strisce decrescenti verso l'interno. Un cancelletto a due ante, in ferro battuto, inserito in un contorno di barre lanceolate crescenti verso la croce centrale, protegge e decora il quadro del crocifisso inserito sul fondo rettangolare e poco profondo.
Sotto la chiesa di San Filippo, pare sia un antico bagno rituale ebraico, chiamato delle puerpere, al quale si accede da una scala di 32 gradini.
Più avanti, dopo una serie di palazzetti in entrambi i lati, a sinistra, si giunge in piazza del Precursore dov’è la chiesa di San Giovanni Battista, sinagoga secondo le fonti, che chiude la piazza. L’antica chiesa, edificata Intorno al 1180 e distrutta dal terremoto del 1169, venne ricostruita intorno al 1380, in stile gotico e, successivamente, restaurata in stile quattrocentesco.
Alle spalle della chiesa, in via Alagona, sotto il palazzo Bianca, civico 52, pare sia l’antico miqveh al quale si accede tramite una scala di 52 scalini intagliati nella roccia che scendono ad una profondità di 18 metri, in una stanzetta rettangolare dove sono tre vasche dalle quali sgorga ancora l'acqua, vestiboli formati da archi di roccia e altre vasche.
A destra della piazza, vicolo dell’Arco, che conduce in via Mario Minniti, grande pittore siracusano, amico del Caravaggio, e che dipinse moltissime opere che si possono ammirare a Siracusa, in altre città della Sicilia, a Malta, in Francia ed all'Ermitage di San Pietroburgo. Mario Minniti nacque in una casa del predetto vicolo l'8 Dicembre1577 e morì nel Novembre del 1640.
Di fronte alla via Mario Minniti, la via Logoteta nella quale, subito a destra, vi sono il convento e la chiesa dei frati di San Francesco di Paola, dalle semplici forme barocche, edificato a partire dal 1705 con i lavori che durarono circa 30 anni. In ricordo della loro precedente chiesa demolita, fu imposto di incidere sulla sommità della cupola la dicitura, “DIVO ANTONIO ABATI”. Nella chiesa, c’erano pregevoli dipinti, come un quadro di Sant’ Antonio Abate, e uno di San Francesco di Paola, opere di Fragonio Messinese.
Di fronte al convento e la chiesa dei frati di San Francesco di Paola, la facciata posteriore del palazzo Midiri-Cardona con ingresso principale da piazza San Giuseppe angolo via Larga, civico n.33 danneggiato dai bombardamenti del 1943, in quel sito oggi piazzuola, fino agli anni 60 era la bottega del valente maestro Branciamore e figli. Il maestro, tra le tante cose esegui lavori presso il Duomo di Siracusa.
Nella stessa via, poco più avanti, a sinistra, vicolo delle Pergole, per noi siracusani “a vanedda e pecuri”, che in un caratteristico e tortuoso percorso si immette nella via del Crocifisso.
In via Logoteta, angolo via Roma, nel 1688, era stata edificata la chiesa della Madonna dell'Itria, danneggiata dal terremoto del 1693 e riedificata nel 1725 dalla Confraternita omonima che utilizzava i locali limitrofi quale sede. Con le leggi di soppressione del 7 luglio 1866, fu assegnata ad alcuni maestri scalpellini provenienti da Catania che lavoravano presso la costruzione del Teatro comunale. Il 14 gennaio 1874 venne demolita dal nuovo proprietario che vi costruì il suo palazzo.
Da via della Giudecca, seguendo la facciata laterale di palazzo Midiri-Cardona, forse anche Statella, si accede alla via Larga, antica via principessa Margherita fino all’attuale via del Teatro.
In via Larga, a cavallo della via del nome di Gesù, il settecentesco palazzo Meli del 1702, con grazioso atrio e fantasiose decorazioni rococò. Li, per diverso tempo, abitò Enzo Maiorca.
La piazza San Giuseppe è il centro e cuore del quartiere Giudecca caratterizzato da splenditi palazzi nobiliari ed edifici di culto di primaria importanza.
Da via Larga, subito a sinistra, il già citato palazzo Midiri-Cardona, oggi museo dei pupi.
A seguire, in un percorso antiorario, palazzo Randazzo, dove un tempo era un’operosa tipografia. Li visse Renato Randazzo, Grecista e Latinista siracusano, già preside del Liceo Classico Gargallo che un tempo aveva sede in via Tommaso Gargallo, ex monastero di San Filippo Neri.
Sul lato Ovest della piazza, palazzo Pupillo, in precedenza in stile settecentesco, ricostruito nella modernità del cattivo gusto di oggi.
Sul lato nord della piazza, angolo via Gaetano Zummo, l'antico monastero di Santa Maria Aracoeli, fondato nel 1559 da Benigna Platamone, vedova Montalto, barone di Canicattini. Dal 1870 fu asilo per l'infanzia, scuola femminile, comando militare, asilo infantile, e in tempi recenti sede dell'Istituto Nautico, oggi, nei locali a piano terra di via Gaetano Zummo, museo del Mare.
Annessa al monastero era la chiesa Santa Margherita, restaurata dal 1624 al 1628 e gestita dalla congregazione della santissima Annunziata.
Di fronte, la chiesa di Sant’Anna, come si legge in una lapide conservata nel vestibolo: "Questa cappella fu fundata et dotata da Lucrezia Gaudio per suo figlio Ger. Qui sepulto vedi alii atti del notaro Giacomo Maso 4 novembre 1604 et XXI IANU 1607".
La costruzione secentesca, a causa del terremoto del 1693 subì gravi danni e fu ricostruita nel 1727 in stile settecentesco, ad una navata, comprende un vestibolo e una torre campanaria. La cripta, scavata nella roccia, doveva essere un ossario come fa pensare il lucernario, ora chiuso, posto al centro. Secondo A. Privitera, la campana proveniva dalla chiesa di San Giovanni di Dio e i sacri arredi dal soppresso monastero di Montevergine.

La via Gaetano Zummo intitolata al celebre “ceroplasta” non ceroplastico come indica la targa della toponomastica, si immette sulla via Serafino Privitera.
Gaetano Zummo, nato a Siracusa nel 1656, morto a Parigi il 22 Dicembre 1701 all'età di 45 anni, è sepolto nella Chiesa di Saint Sulpice.
Definito il Michelangelo della cera, oltre alla sua incredibile produzione di statue in cera che descrivevano in modo minuzioso le varie componenti del corpo umano, l'abate Zumbo, aveva cambiato il cognome durante il soggiorno a Parigi, realizzò diversi " Teatri della morte " . Alcune di queste opere, cosiddette "cere della peste", sono conservate a Firenze presso il Museo della Specola ed a Londra presso il Victoria and Albert Museum. Il Professor Paolo Giansiracusa nel 1988, gli dedicò una mostra con monografia.
Il sotto quartiere Cannamela, comprendente via Gaetano Zummo, era delimitato da Ruga Larga, oggi via Larga, e confinava con la Turba e il mare a levante dov’era il bastione San Domenico o Cannamela. Il sotto quartiere, caratterizzato da diverse case palazzate, interamente trasformato nel XIII secolo, era costituito da trappeti per la raffinazione della canna da zucchero.
Il quartiere medievale della Giudecca, ad est, segue l’alta costa, dalla Turba fino all’attuale “affaccio” di piazza San Giacomo, la quale deve il nome al medievale bastione San Giacomo.
Contorna la costa, via Eolo, ma la via principale è via Nizza, nella quale c’è il prospetto posteriore del convento di San Domenico con una delle entrate prospiciente largo della Gancia, nel medioevo Bastione della Gancia. Seguendo la via, a sinistra, via del nome di Gesù, delimitata a destra dal palazzo un tempo prima sede della “casa Politi”.
A seguire, via Larga con un bellissimo palazzo settecentesco, con paramenti e i bassi di sicura origine medievale.
Poi l’inizio di via Alagona della quale abbiamo già parlato e aggiungiamo solo che al civico 41, nel settecentesco palazzo Corpaci, poi proprietà di Remo Romeo, medaglia d’argento del Presidente della Repubblica quale benemerito della cultura e dell’arte, vi era il museo del cinema, fondato nel 1995, dall’instancabile professor Remo Romeo che lo ha chiuso recentemente.
Sulla costa sovrastante punta Malevie o Majaria, davanti a via Eolo, il medievale forte Vigliena, per noi siracusani, “u centralinu”, distrutto dai primi bombardamenti del 1943, in quanto sede della stazione ponte radio, sulla direttrice Berlino-Siracusa-Tripoli.
Quasi alla fine di via Nizza, il convento di Sant’Agostino, edificato nel XIV e XV secolo, sul sito della chiesa del Santo Sepolcro, come scrisse il Privitera, “il luogo più ameno e più bello, rimpetto a mezzogiorno, sovra il mare, vicino alla muraglia di città". Ingrandito e abbellito dai frati agostiniani protetti dei regnanti aragonesi, dal 1866, convento e chiesa, furono adattati per ospitare gli uffici dell'Intendenza di Finanza, le Guardie Demaniali, scuole medie femminili, ed oggi sede del Museo del Papiro di Corrado Basile.
Chiude il lato est della piazza San Giuseppe, il convento, “regio”, di San Domenico, eretto nel 1222, in parte danneggiato dal terremoto del gennaio 1693. Dell'imponente fabbrica medievale resta uno dei due chiostri. Ricostruito secondo gli schemi tipologici del settecento, l'ex convento confina con la via del Nome di Gesù e dal lungomare di Levante con rispettivi ingressi. Dal 1870 fu prima ospedale, poi caserma della fanteria ed oggi stazione Carabinieri Ortigia.
A seguire il settecentesco palazzo della famiglia Rau, al primo piano abitato dalla famiglia Laboratore, e al piano terra, con ingresso sul prospetto laterale, l’ex sede della storica Galleria Roma di Corrado Brancato che cessò l’attività il 17 Giugno 2015.
Nel 1453, i cristiani di Grecia, scampati alla strage dei musulmani guidati da Maometto II, ottennero dal Senato la concessione della Chiesa di San Fantino che tra il 1752 e il 1754 vi si officiava con rito greco. Demolita nel 1754, al suo posto, la corporazione dei falegnami fece edificare l’attuale chiesa di San Giuseppe che campeggia al centro della piazza.
I lavori vennero eseguiti da Carmelo Bonaiuto, forse anche autore del progetto, dalla forma chiaramente desunta dall'architettura vermexiana. La chiesa, a pianta ottagonale, con ingresso principale a sud della piazza, è ad unica navata con l'apparato decorativo che ricorda alcuni lavori documentati di Luigi Alessandro Dumontier. L’interno, ricco di decorazioni e stucchi rococò, presenta ad ovest un corpo allungato per il presbiterio. È conservata all’interno copia del seppellimento di Santa Lucia opera di Giuseppe Politi che la realizzò nel 1820.
Nell’attuale via del Teatro, già via principessa Margherita, si erge il magnifico Teatro Comunale, edificato nel 1875-1879, nel sito dov’era il Monastero dell'Annunziata e il palazzo del principe della Cattolica.
I lavori, iniziati 1872, vennero affidati all'ingegnere militare Breda che predispose il progetto poi modificato dall’architetto Damiani D’Almeyda che completò i lavori. Vennero utilizzati i materiali di risulta degli edifici abbattuti.
Nella facciata principale, all’ingresso, un ampio porticato per la sosta delle carrozze. Nel cantonale, angolo via del teatro e via Roma, in alto, scolpita nella pietra calcarea, è un’aquila, simbolo della città, scolpita dal siracusano Amato, mentre le maschere teatrali e i simboli delle muse nei prospetti dell'edificio sono opera di maestri scalpellini venuti da Catania.
All' interno del Teatro un ampio foyer dava accesso alla direzione, al guardaroba, all'ingresso della platea, al caffè e, a sinistra e a destra, alle scale dei palchi.
Nella sala principale che poteva ospitare 700 spettatori, erano presenti tre ordini di palchi, il loggione con le panche e un ampio palcoscenico, con il ridotto, i camerini e un'orchestra.

Il telone del sipario principale raffigura Dafne in un bosco popolato da ninfe a simbolo della poesia bucolica che a Siracusa con Teocrito ebbe le proprie origini.
Il Teatro venne inaugurato nella primavera del 1897, con la rappresentazione della "Gioconda" di Ponchielli e del "Faust " di Gounod.
L’attività del teatro è stata brevissima: circa sessant’anni. Chiuso per restauri nel 1957, dopo la rappresentazione del "Il Trovatore" di Verdi, "La Bohème” di Puccini, "La Cavalleria Rusticana di Mascagni e "I Pagliacci di Leoncavallo. Restaurato in tempi recenti non ha ancora ripreso la sua piena funzione.
Una leggenda metropolitana di Siracusa vuole che il Teatro, come detto, edificato sul sito di un edificio sacro e con i conci del demolito monastero dell’Annunziata, è nato sfortunato. Verificandone la storia sembra proprio che sia così.
Testi consultati: Ortygia, quartieri medievali n. 2 di Paolo Gianiracusa; I luoghi degli Ebrei di Federico Fazio; chi erano gli ebrei siciliani di Mariarosa Malesani.
Rielaborazione testi, progetto e montaggio a cura di Antonio Randazzo.
musica di sottofondo tratta da "I Cantu Novu".
Oggi il teatro comunale muore di inedia! Ai miei tempi a Siracusa era normale sentire cantare le romanze delle grandi opere liriche ed era un piacere ascoltarle dalla voce di cantanti improvvisati. Personalmente non sono mai stato ad assistere a spettacoli nel nostro teatro ma so e canticchio spesso arie del Rigoletto, di cavalleria rusticana, norma, Madama Butterfly ed altre. Culacchi ri buttigghia diceva mia madre. Imparai a cantare o meglio canticchiare sentendo cantare Gianni Salerno, u biondu. Stessa cosa per le tragedie del teatro greco. I teatri svolgevano a margine una funzione culturale per noi giovani di allora anche senza assistere agli spettacoli che certo costavano. Recondita armonia, oppure, cortigiani di razza d'annata, e ancora un bel di vedremo sollevarsi un fil di fumo ecc. ecc. si discuteva nei bar, dai barbieri o nelle sartorie con persone che amavano liriche o tragedie e tutti noi apprendevamo cose che non potevamo conoscere per ragioni economiche.
Infine si sappia che il teatro aprì solo grazie alla tenacia e al provvidenziale intervento di un gruppo di amici e, in particolare, della Sezione Siracusana dell'Associazione Nazionale Carabinieri che, con il suo presidente, Valentino De Ieso, collaborato da altri soci e amici, quali Giorgio Scribano e Barone Francesco, smantellarono i paletti burocratici, ottenendo i permessi necessari che consentirono oltre ad altre cose, anche l'allaccio alla cabina ENEL.
La riapertura venne inaugurata con i festeggiamenti per il novantesimo anniversario della fondazione della Sezione ANC di Siracusa il 14 Gennaio 2017.
E poi! Il nulla grazie alla atavica nullità di chi dovrebbe e non fa.
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