acquedotti antiche Siracusa - Archeologia Siracusa

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
Archeologia
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acquedotti antiche Siracusa

Connessione tra la geologia dell'area siracusana e la sua pianificazione territoriale
Maria Giompapa Geologo, libero professionista

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Per comprendere l'intima connessione tra la geologia del territorio siracusano e la sua pianificazione ed espansione temporale non si possono disconoscere i progetti urbanistici dei nostri predecessori (Protogreci, Siculi e Greci) che hanno saputo adattare le risorse naturali e l'ambiente alle loro esigenze espansionistiche lasciando esempi sapienti di utilizzazione e modificazioni antropiche compatibili con l'ambiente.
La figura seguente (fig.l), elaborata dall'erudito storico siracusano E. Mauceri, mostra le condizioni di ritrovamento dei terreni dell'agro siracusano al tempo dei Greci; questa pianta è infatti un esempio di carta geologica, in bianco e nero, in cui vengono differenziate fondamentalmente due litologie di terreni:





quelli calcarei in prevalenza miocenici di natura lapidea costituenti gli speroni collinari dell 'Iblo orientale, dell’Isola media, dei Monti Crimiti, del Plemmirio nonché le alture rocciose di Cozzo Pantano e Due Colonne (Tempio di Giove); le altre litologie sono rappresentate dai terreni quaternari di natura prevalentemente alluvionale dislocati in destra e sinistra del fiume Anapo, che rap­presenta la principale fiuenza del territorio siracusano, fino al Porto Piccolo e al Porto Grande della città. Le alture morfologiche naturali sono state utilizzate per edificare a scopo difensi­vo: ci riferiamo ad esempio al Tempio di Giove - di cui oggi restano solo due colonne - po­sto su una naturale collina inposizione di controllo per le navi greche che approdavano nel Porto Grande di Siracusa o al Castello Eurialo con le sue mura lunghe 27 km localizzato anch'esso su una posizione di alto strutturale a scopo difensivo. Queste testimonianze rappresentano esempi di modificazione antropica degli ambienti a dimostrazione dell'intelligenza dei popoli antichi colonizzatori della nostra terra a "usare" il paesaggio nelle sue forme naturali.
Le aree di tipo alluvionale, invece, sono localizzate nella zona dei Pantanelli (toponimo quanto mai indicato e pertinente per indicare la vocazione di questi luoghi ad essere facilmente coperti da acque); si tratta di un sito di recente formazione geologica, costituente una bassa pianura alluvionale formata da una successione di depositi sabbiosi e limo-sabbiosi immersi in falda, bonificata solo nel recente passato con la realizzazione di alcuni canali secondari; essa non costituiva una mira espansionistica né risultava difesa da mura e fortificazione: d'altro canto la natura malsana scoraggiava da sé qualunque attacco nemico.
La conoscenza e l'utilizzo delle molteplici forme morfologiche diffuse nel nostro territorio già stupivano tutti i viaggiatori del '700, i quali, mandati da potenze straniere nel ruolo di spie militari, provavano stupore dinanzi alle ricchezze naturali ed antropiche del nostro com­prensorio e le fissavano in stampe che oggi sono preziose perché documentano l'originaria conformazione morfologica degli ambienti rappresentati.
Ma, quale è stata la linea guida della pianificazione territoriale dei nostri predecessori?
La risposta è: "l'acqua".
Esiste uno strettissimo legame tra l'attuale sistema idraulico della città di Siracusa e la rete di connessione idraulica antica a conferma dell'intimo rapporto tra la città ed il patrimonio "acqua".
Ogni cosa in Siracusa ricorda l'acqua: lo stesso etimo Siracusa deriva dal greco Suraka che significa "abbondanza d'acqua" e con il termine Syrakos veniva chiamato il fiume che attraversava la pianura alluvionale della città fino a sfociare nel Porto Piccolo. Esso scorreva anticamente dalle balze di Panagia fino al mare con direzione NW-SE con un percorso che attualmente interesserebbe approssimativamente il complesso residenziale S Giorgio - Piazza S. Giovanni - Santuario Madonna delle Lacrima - Piazza della Vittoria - Viale Luigi Cadorna - Porto Piccolo, ed oramai obliterato Il grande terrazzo calcareo su cui è posta Siracusa ha alle spalle Monte Lauro, un vulcano oramai spento ed inattivo, che raggiunge la quota di 986 m s.l.m.
Dalle pendici del Monte Lauro nasce il fiume Anapo che, scorrendo nel territorio di Floridia, scende per la pianura Siracusana fino a sfociare nel Porto Grande. Oltre al fiume Anapo scorrono altri corsi d'acqua naturali tra cui il Ciane che sfocia anch'esso nel Porto Grande della città.
Tutta la città di Siracusa pertanto si trova alla terminazione di un complesso sistema idraulico i cui elementi più importanti superficiali sono costituiti dall'Anapo e dal Ciane, ma esiste, ed ha un'importanza idraulica ben maggiore, un sistema sotterraneo di collegamento idraulico tra il Monte Lauro, l'alta Valle dell'Anapo e l'isola di Ortigia.
L'isola di Ortigia, infatti, pure essendo un'isola, risulta collegata idraulicamente alla terra­ferma attraverso sistemi di fratturazione naturali delle rocce e grazie alla capacità dei terreni di trasferire acqua. L'alimentazione può essere attribuita ad una falda più profonda collocata in corrispondenza di una faglia attualmente inattiva, la quale è ricca d'acqua ed è compressa dallo strato impermeabile delle argille quaternarie che si stendono nella bassa valle dell'Anapo e circuiscono l'isola di Ortigia ed il Plemmirio
A partire dalla Porta Marina fino al Castello Maniace, punta estrema dell'isola di Ortigia, vi è infatti un susseguirsi di sorgenti e fonti naturali che fuoriescono al di sotto o in corrispondenza del livello medio del mare; la presenza delle sorgenti è legata alla favorevole pendenza naturale delle fluenze e dall'altro ai sistemi di fratturazione esistenti nelle rocce, fattori entrambi che favoriscono l'insorgenza delle acque.







Tutte queste polle di acqua dolce, presenti in Ortigia e sfruttate nei secoli per l'approvvi­gionamento idrico, rappresentano la stupefacente terminazione di questo sistema idraulico, in parte naturale ed in parte antropico, che ha attirato colonizzatori da tutto il mondo conosciuto e ha permesso l'instaurarsi di splendide civiltà attraverso i secoli e lo sfruttamento a fini commerciali dell'acqua. Le sorgenti più importanti dell'isola di Ortigia sono rappresentate dalla Fonte degli Schia- voni, lungo il viale della Marina, e dalla Fontana Aretusa.
La fonte degli Schiavoni (foto 1) è importante storicamente perché nel 1798 Orazio Nel­son, ammiraglio inglese, prima della battaglia di Abukir contro Napoleone, attinse acqua per la sua flotta La Fontana Aretusa (foto 2) è anch'essa importante sia per l'aspetto mitologico (si rac­conta che Aretusa, per sfuggire all'amore di Alfeo, fu trasformata in fonte da Artemide, e successivamente raggiunta dallo stesso tramutato in fiume) sia perché costituisce una naturale sorgente di acqua dolce che emerge al di sotto del livello del mare con cospicue quantità, circa 200 1/sec.
La fama della fontana Aretusa ha tempi millenari se si pensa che anche Omero nel nono Libro dell' Odissea affermava: «[...] Non v'ha di fune ne d'ancora mestieri; e chi giàentrovvi, tanto vi può indugiar, che de' nocchieri le voglie si raccendano, e secondi spirino i venti. Ma del porto in cima s'apre una grotta, sotto cui zampilla l'argentina onda d'una fonte, e a cui fan verdissimi pioppi ombra e corona [...]».
Anche i guazzi e le acquetinte di J. Hotiel in Voyage Pittoresque Des Isles De Sicile, De Malte Et De Lipari (4 volumi, Parigi 1782-1787) mostrano la Fonte Aretusa così come descritta da Omero, ovvero all'interno di una grotta che nell'ottocento viene smantellata per assumere la configurazione attuale.
La studiosa francese Sophie Collin Bouffier afferma invece che la fontana Aretusa costitu­isce la terminazione di un ramo del complesso sistema acquedottistico artificiale sotterraneo antico, che passa sotto Piazza Archimede e il Porto Piccolo.
Anche i lavatoi e le concerie (foto 3 e foto 4) esistenti lungo la Via Maniace nei pressi della Fontana Aretusa, utilizzati come lavanderie pubbliche, testimoniano la diffusa presenza d'acqua nell'isola. Le vasche, tutt'oggi visibili al di sotto dei pubs presenti nella zona, sono piene delle stesse acque che dissetarono i Greci.
Nella stessa zona le numerose venute d'acqua sono collegate in un circuito idraulico com­preso tra la fonte degli Schiavoni ed il Castello Maniace ove tutt'oggi è possibile ammirare la famosa Vasca della Regina (foto 5) che altro non è se non una sorgente di acqua dolce nelle viscere del Castello Maniace al di sotto del livello del mare. Il Castello Maniace è una for­tezza difensiva fatta edificare da Federico II di Svevia intorno al 1200 e utilizzata nei secoli successivi come prigione e caserma spagnola.
Un occhio attento può osservare sotto il Lungomare Alfeo, tra la fonte Aretusa ed il Ca­stello Maniace, la presenza di numerose polle di acqua dolce, fenomeno ben conosciuto dai pescatori che in questo modo si rifornivano di acqua dolce.
Le sorgenti più importanti dell'isola di Ortigia sono rappresentate dalla Fonte degli Schiavoni, lungo il viale della Marina, e dalla Fontana Aretusa.
La fonte degli Schiavoni (foto 1) è importante storicamente perché nel 1798 Orazio Nel­son, ammiraglio inglese, prima della battaglia di Abukir contro Napoleone, attinse acqua per la sua flotta. Sull'altro lato di Ortigia, il Lungomare di Levante, sono invece purtroppo quasi del tutto scomparse le piccole manifestazioni sorgive chiamate Occhi di Zivillica o secondo un'altra accezione Occhi di Zilica, già parzialmente interrotte durante la costruzione delle mura spa­gnole nel XVI secolo, presenti oggi soltanto in corrispondenza dei calafatari ove un tempo sorgeva il Castello Mariet.
Altro esempio di emergenza idrica sotterranea è rappresentato dal più importante e sug­gestivo miqwè d'Europa localizzato all'interno di un edificio trasformato in hotel sito in Via Alagona, costituente un bagno di purificazione di rituale ebraico (foto 6). Nel complesso, le fonti d'acqua naturali unitamente alle fluenze superficiali e ai canali antropici sotterranei, forniscono tuttora portate cospicue di circa 800 1/sec.
Nel momento in cui l'espansione si diffondeva anche al di fuori dell'isola di Ortigia per interessare i quartieri Acradina, Neapolis e Epipoli necessitava trasportare e veicolare l'acqua attraverso gli acquedotti I Greci infatti sfruttarono il sistema idraulico scoperto in Ortigia arricchendolo ed incre­mentandolo con la realizzazione di una meravigliosa rete di acquedotti di lunghezza superiore a 100 km, alcuni dei quali tutt'oggi funzionanti dopo 2500 anni di servizio (fìg. 2).
L'acquedotto Galermi (foto 7) è il principale fra gli acquedotti e di cui anche il visitatore più distratto può sentire scrosciare l'acqua al di sopra della cavea del Teatro Greco, dopo che questa ha percorso nelle viscere della terra cunicoli vecchi di 25 secoli. Con un percorso lungo 30 km, l'acquedotto capta le acque in prossimità di Sortino-Pantalica, ad una quota di circa 187 m.s.l.m. Esso è costituito da una galleria scavata nella roccia calcarea bianca, da cui il significato etimologico gala = bianco - ermia = sorgente. Fatto costruire dai Greci intorno al V secolo a.C. per l'approvvigionamento di acqua potabile della Epipolis di Siracusa, conserva tuttora i pozzetti quadrati di ispezione che, ad intervalli regolari, ne seguono l'intero percorso e attraverso cui era assicurata la manutenzione dello stesso.
L'acquedotto, dopo avere ricevuto le acque, costeggia il percorso del F. Anapo, per la maggior parte scavato nella roccia calcarea ed in parte costruito in muratura; in prossimità di Belvedere divide le sue acque, a N, per irrigare le zone di Targia e, a S, quelle di Carancino e Tremilia.
La Galleria Tremilia, lunga circa 815 m, intagliata nella roccia viva, come la maggior parte degli antichi acquedotti, è costruita a doppio ordine: un cunicolo inferiore, in cui scorre l'acqua, ed uno superiore che serve per la ventilazione e la manutenzione. Fu utilizzata dai Greci come galleria filtrante (sistema imitato dai Romani), ovvero come canale di adduzione delle acque latenti che sboccano al contatto con terreni vulcanici impermeabili, a quota 47 m s.l.m.
L'Acquedotto del Ninfeo, lungo circa 1385 m è simile al precedente, a doppio ordine e sbocca al di sopra del Teatro Greco, sotto la grotta denominata del Ninfeo. Possiede 40 spiragli, ovvero pozzi d'attacco, e sbocca a quota 37 m s.l.m. attingendo le acque in corrispondenza degli strati impermeabili. La Fig. 3, (fonte: Cavallari S., Holm A., Cavallari C., Topografia Archeologica di Siracusa, Palermo, 1883) e ripresa da Sophie Collin Bouffier, mostra la sezione longitudinale di un tratto dell'acquedotto del Ninfeo che giunge fino al Teatro Greco.



Foto 7 - Acquedotto Galermi Paramenti tecnici
Lunghezza 29.000 m 29 km
Dislivello 133 m
Qmin 57 m (Casa dell'Acqua sopra ninfeo)




Un'altra galleria che, come la precedente, serviva a fornire di acqua la città antica, è quella del Paradiso che sboccava nella piscina S. Nicolò. Questa galleria è lunga circa 1565 m, ha 30 spiragli e sbocca a quota 24 m s.l.m. Le tracce di un'altra galleria si trovano dentro le Catacombe di S. Giovanni e pare che all'epoca cristiana appunto essa sia servita per intraprendere lo scavo delle famose Catacombe. La galleria si dirigeva verso N per andare a raggiungere il "tufo basaltico" in prossimità di S. Panagia.
Gli acquedotti descritti, escluso quello del Galermi, ricevono le acque dalle viscere della Terrazza calcarea e non hanno tra loro nessuna comunicazione artificiale: le acque di questi acquedotti scor­rono infatti in un piano molto inferiore a quello dell'acquedotto Galermi né ci sono prove che essi vengano alimentati da esso (fonte: Topografia Archeologica di Siracusa, Palermo, 1883).
Un ulteriore aspetto significativo ed estremamente interessante del tessuto urbano di Ortigia, in termini di pianificazione territoriale è costituito dal suo variegato sistema ipogeico.
Gli ipogei infatti rappresentano elementi morfologici significativi del territorio urbano e per questa ragione sono stati censiti e riportati in una tavola, allegata allo studio geologico









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