Antigone 1954
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Antigone di Sofocle 1954
Il dramma si ricollega al finale dei Sette a Tebe di Eschilo.
Il prologo ha luogo tra la protagonista, che ha deciso di seppellire anche il diletto fratello Polinice, violando il divieto dello zio Creonte, e la mite e timida sorella Ismene, che cerca di dissuaderla per evitare alla famiglia, già tanto provata dal dolore, nuovi malanni.
Dunque, Antigone, irremovibile e corag-giosa, non ubbidisce all'ordine empio ed ingiusto del tiranno e da sola compie il proprio dovere.
Giunge Creonte, che ha convocato gli anziani per illustrare loro il suo programma di governo.
Una guardia viene ad annunziare che qualcuno ha ricoperto di terra il cadavere di Polinice.
E' stata Antigone che, sorpresa mentre ancora una volta tornava all'opera sua di umana pietà, viene condotta prigioniera.
Ha luogo così un fierissimo dialogo tra Creonte e l'animosa giovane.
Antigone oppone all'arbitrario decreto contro la sepoltura di Polinice la potenza della legge divina, immutabile ed eterna, che onora i defunti: per lei, nata ad amare e non a odiare, i due fratelli sono eguali.
Creonte, accecato dall'orgoglio, ordina che Antigone sia rinchiusa viva in una caverna: l'eroina accetta sdegnosa e senza un tremito la pronunciata condanna.
Dopo un coro splendido che esalta la potenza di Eros, Antigone muove verso il suo destino. Il cieco vate Tiresia esorta Creonte alla moderazione, ma quando Creonte è persuaso e vuole riparare ai suoi sviamenti ed errori, ormai è troppo tardi: Antigone si è im-piccata.
Accanto al cadavere dell'amata, il promesso sposo Emone, dopo un gesto di detestazione verso il padre Creonte, si trafigge con la spada.
Anche Euridice, moglie del tiranno, all'annuncio recatole del suicidio del figlio, si uccide maledicendo il marito.
Creonte resta alla fine disperato spettatore dei lutti che la sua bestiale crudeltà ha provocato e invoca a sua volta la morte.
La tragedia
appartiene al periodo della maturità piena del poeta: la data quasi
sicuramente va posta nel 442 avanti Cristo.
Il dramma
riprende il motivo della sepoltura, già svolto nella seconda parte dell'Aiace;
ma, mentre nell'Aiace il tema della sepoltura è secondario rispetto al motivo
della grandezza dell'eroe, qui domina tutto il dramma.
Trattasi di
tragedia di impareggiabile tocco artistico: insieme con l'Edipo, può, infatti,
essere definita il capolavoro di Sofocle.
La protagonista Antigone e condannata
a morte perché trasgredisce gli ordini scritti di Creonte e perché segue quanto
impone la sua coscienza.
Se si dovesse
pensare ad un contrasto sul quale è intessuta la tragedia, non si dovrebbe
comunque ammetterlo tra Antigone e Creonte, troppo lontano quest'ultimo dalla
nobiltà e dalla superiorità dell'eroina; si deve invece focalizzarlo tra
Antigone e Ismene, l'una espressione di indomita volontà e di eccezionale dote
dell'animo, l'altra dolce, ma rassegnata, ligia agli ordini, incapace di
sopraelevarsi trasgredendo comandi ingiusti, di carattere estremamente pieghevole.
Colpisce comunque nell'insieme la maestosità del tono artistico che ha immortalato,
tra le righe, oltre al contrasto sofferto degli animi, la loro complessa diversità.
Antigone,
una delle figure più pure e più alte del teatro greco, e l'eroina della
tragedia, che si erge a difesa delle leggi non scritte ed eterne e dei più
sacri diritti dell'uomo.
La sua morte rappresenta il trionfo della giustizia
divina sull'orgoglio umano e mette in evidenza la sua fede incrollabile
e il suo eroismo; eroismo che è anche sofferenza e dolore oltre che solitudine
e incomprensione.
Non dimentichiamo che anche l'Antigone come l'Aiace è il
dramma dell'eroe e della sua solitudine tragica.