Ippolito 1970
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Ippolito di Euripide 1970
Afrodite, nel prologo, dichiara la pro-pria inimicizia per Ippolito perché questi ossequia solo Artemide, mentre a lei ne¬ga ogni onore. La dea si vendicherà di questo suo contegno irriverente, facendo che s'innamori di lui la matrigna Fedra. (Fedra è la seconda moglie di Teseo; Ip¬polito era nato dall'amazzone Ippolita). Appare quindi Ippolito che, tornato dalla caccia, offre una corona di fiori ad Arte¬mide ed ha parole di scherno per Afrodi¬te. Dopo che egli si è allontanato, compa¬re sulla scena Fedra sostenuta dalla nutri¬ce. Alcune ancelle recano un letto sul quale viene adagiata la sovrana: ella appa¬re triste e sfinita ed in preda al delirio, ma è sempre ferma nel proposito di non far conoscere a nessuno la causa del suo mi- sterioro male. La nutrice approfitta di questo momento favorevole per farsi sve¬lare il suo male segreto: l'amore per l'in¬sensibile figliastro. Fedra, svelato il suo male segreto, ha vergogna di sè e pensa alla morte come all'unico sollievo possibi¬le. La nutrice, con un affetto quasi mater¬no, di sua iniziativa e credendo di giovare alla sua padrona, rivela tale amore ad Ip¬polito. Il giovane, inorridito dalle confi¬denze fattegli dalla nutrice, ha parole di disprezzo per la matrigna e impreca con¬tro l'intera schiatta femminile. Ma la nu¬trice gli ha estorto prima il giuramento che non violerà il segreto confidatogli. Fe¬dra, che ha udito per caso tutto, riconfer¬ma la propria volontà di morire per di¬fendere il proprio onore. Poco dopo, in¬fatti, un'ancella viene ad annunziare che la regina si è impiccata nella camera nu¬ziale. Mentre la salma di Fedra viene ri¬mossa dai servi, Teseo ritorna dal suo pio pellegrinaggio ed apprende la sciagura che lo ha colpito. Nella mano della sposa sui¬cida scopre una lettera nella quale la mor¬ta accusa Ippolito di averle usato violen¬za. Alle grida di Teseo, accorre Ippolito, ed il re, senza lasciarsi impietosire dalle discolpe di lui, lo maledice invocando dal padre Poseidone un esemplare castigo. Il giovane, vincolato dal giuramento, non può difendersi e non può rivelare quella verità che redimerebbe il suo onore e quello di Fedra. Votato a sicura morte, si allontana quindi dalla città protestando la propria innocenza. Da un nunzio si ap¬prende la sorte toccata ad Ippolito appe¬na uscito dai confini di Trezene: per vo¬lontà di Poseidone, impegnato ad esaudire l'imprecazione del figlio Teseo, un toro mostruoso e selvaggio è uscito dal mare, ha impaurito e sbandato i cavalli e ha ro¬vesciato il carro; il giovane stesso è caduto e, impigliato nelle redini, è stato trascina¬to a terra per un lungo tratto finché non si è fracassato il capo contro una roccia. Artemide, la dea protettrice di Ippolito, sopraggiunge quando il giovane è agoniz¬zante: rivela l'inganno di Fedra, proclama l'innocenza di Ippolito e rimprovera a Te¬seo di essere stato precipitoso ed ingiusto con il figlio incolpevole. Teseo, avuto il perdono del figlio, schiantato dal dolore ed in preda alla più triste disperazione, entra nella reggia, seguito dai servi che re¬cano la salma di Ippolito.
L'ippolito è rappresentato nel 428 avanti Cristo: il poeta ottiene il primo premio.
Anche in questa tragedia Euripide dà un posto rilevante al motivo amoroso, riu-scendo a creare scene bellissime e commo-venti.
Fedra emerge nella vicenda in tutta la maestosità della espressione poetica come creatura di impareggiabile finezza. Il de¬lirio amoroso e il pudore pongono in risal¬to la sua fragilità di donna: essa appare, infatti, debole, malata, sofferente. La sua sofferenza peraltro è profondamente lega¬ta alla coscienza della incomprensione umana; per questo Euripide non fa di Fe¬dra la donna colpevole, ma la vittima, che per ciò stesso è innocente, in quanto ine¬vitabilmente trascinata dalla ineluttabilità del fato. Con Silvio D'Amico si può giu¬stamente ritenere che "questa che avreb¬be potuto essere tragedia della lussuria è per molta parte tragedia del pudore". Si può quindi osservare che motivo domi¬nante dell'opera è l'Eros che, quando si traduce in un autentico profondo senti¬mento dell'animo, non contrasta con il senso del pudore.