Ippolito 1936
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Ippolito di Euripide 1936
Afrodite, nel prologo, dichiara la propria inimicizia per Ippolito perché questi ossequia solo Artemide, mentre a lei nega ogni onore.
La dea si vendicherà di questo suo contegno irriverente, facendo che s'innamori di lui la matrigna Fedra. (Fedra è la seconda moglie di Teseo; Ippolito era nato dall'amazzone Ippolita).
Appare quindi Ippolito che, tornato dalla caccia, offre una corona di fiori ad Artemide ed ha parole di scherno per Afrodite.
Dopo che egli si è allontanato, compare sulla scena Fedra sostenuta dalla nutrice.
Alcune ancelle recano un letto sul quale viene adagiata la sovrana: ella appare triste e sfinita ed in preda al delirio, ma è sempre ferma nel proposito di non far conoscere a nessuno la causa del suo misterioso male.
La nutrice approfitta di questo momento favorevole per farsi svelare il suo male segreto: l'amore per l'insensibile figliastro.
Fedra, svelato il suo male segreto, ha vergogna di sè e pensa alla morte come all'unico sollievo possibile.
La nutrice, con un affetto quasi materno, di sua iniziativa e credendo di giovare alla sua padrona, rivela tale amore ad Ippolito.
Il giovane, inorridito dalle confidenze fattegli dalla nutrice, ha parole di disprezzo per la matrigna e impreca contro l'intera schiatta femminile.
Ma la nutrice gli ha estorto prima il giuramento che non violerà il segreto confidatogli.
Fedra, che ha udito per caso tutto, riconferma la propria volontà di morire per difendere il proprio onore.
Poco dopo, infatti, un'ancella viene ad annunziare che la regina si è impiccata nella camera nuziale.
Mentre la salma di Fedra viene rimossa dai servi, Teseo ritorna dal suo pio pellegrinaggio ed apprende la sciagura che lo ha colpito.
Nella mano della sposa suicida scopre una lettera nella quale la morta accusa Ippolito di averle usato violenza.
Alle grida di Teseo, accorre Ippolito, ed il re, senza lasciarsi impietosire dalle discolpe di lui, lo maledice invocando dal padre Poseidone un esemplare castigo.
Il giovane, vincolato dal giuramento, non può difendersi e non può rivelare quella verità che redimerebbe il suo onore e quello di Fedra.
Votato a sicura morte, si allontana quindi dalla città protestando la propria innocenza.
Da un nunzio si apprende la sorte toccata ad Ippolito appena uscito dai confini di Trezene: per volontà di Poseidone, impegnato ad esaudire l'imprecazione del figlio Teseo, un toro mostruoso e selvaggio è uscito dal mare, ha impaurito e sbandato i cavalli e ha rovesciato il carro; il giovane stesso è caduto e, impigliato nelle redini, è stato trascinato a terra per un lungo tratto finché non si è fracassato il capo contro una roccia.
Artemide, la dea protettrice di Ippolito, sopraggiunge quando il giovane è agonizzante: rivela l'inganno di Fedra, proclama l'innocenza di Ippolito e rimprovera a Teseo di essere stato precipitoso ed ingiusto con il figlio incolpevole. Teseo, avuto il perdono del figlio, schiantato dal dolore ed in preda alla più triste disperazione, entra nella reggia, seguito dai servi che recano la salma di Ippolito.
L'ippolito e rappresentato nel 428 avanti Cristo: il poeta ottiene il primo premio.
Anche in questa tragedia Euripide dà un posto rilevante al motivo amoroso, riuscendo a creare scene bellissime e commoventi
Fedra emerge nella vicenda in tutta la maestosità della espressione poetica come creatura di impareggiabile finezza.
Il delirio amoroso e il pudore pongono in risalto la sua fragilità di donna: essa appare, infatti, debole, malata, sofferente.
La sua sofferenza peraltro e profondamente legata alla coscienza della incomprensione umana; per questo Euripide non fa di Fedra la donna colpevole, ma la vittima, che per ciò stesso è innocente, in quanto inevitabilmente trascinata dalla ineluttabilità del fato.
Con Silvio D'Amico si può giustamente ritenere che "questa che avrebbe potuto essere tragedia della lussuria è per molta parte tragedia del pudore".
Si può quindi osservare che motivo dominante dell'opera è l'Eros che, quando si traduce in un autentico profondo sentimento dell'animo, non contrasta con il senso del pudore.