Medea 1927 - siracusa tragedie greche

Antonio Randazzo da Siracusa con amore
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Medea 1927

Spettacoli -1914-1980 > rappresentazioni-1927

Medea di Euripide-1927

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Nel prologo la vecchia nutrice di Me¬dea impreca contro Giasone che ha abbandonato la fedele compagna, la maga che lo ha aiutato a conquistare il Vello d'oro e che gli ha dato due figli, e sta per contrarre nuove nozze con Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto.
La nutrice teme che Medea, disfatta dal dolore, offesa e umiliata, desiderosa di vendetta, possa compiere da un momento all'altro qualche atto irreparabile.
Giunge il Pedagogo il quale comunica alla nutrice che Creonte ha deciso di cacciare dalla città Medea ed i suoi figli.
Esce quindi dal palazzo Medea, la quale si mostra subito al coro di donne corinzie, lamentando la sua sventura e la condizione di inferiorità in cui è tenuta la donna rispetto all'uomo.
Creonte viene personalmente ad intimare a Medea di lasciare subito Corinto assieme ai figli.
Medea, avendo subito intuito che ogni re-sistenza sarebbe vana e che potrebbe anche pregiudicare i suoi disegni di vendetta, si finge serena e rassegnata e riesce ad ottenere dal sovrano l'indugio di un giorno per poter portare a termine la sua vendetta.
Compare quindi Giasone in persona, che tenta di spiegare alla donna, con discorsi gretti e con goffi pretesti, i motivi della sua condotta; ma Medea rinfaccia al capo degli Argonauti la sua meschinità e il suo tradimento: l'eroe senza macchia del mito è qui un cinico e vile opportunista.
Medea, dopo avere ottenuto la promessa di essere protetta ed ospitata in Atene dal re Egeo, che si trova di passaggio a Corinto, reduce da una visita al tempio di Apollo in Delfi, sicura ormai dell'asilo, prepara la sua vendetta, rivelando al coro il suo atroce piano: si fingerà pentita e tranquilla, chiederà a Giasone di revocare l'esilio per i figli, invierà alla nuova sposa di lui, per mezzo dei figli stessi, un peplo lussuoso e una ghirlanda d'oro, intrisi di un potente veleno, doni che riusciranno fatali alla giovane Glauce ed al padre.
Poi, per colpire più a fondo lo sposo spergiuro, non esiterà ad uccidere anche gli incolpevoli figli.
Chiamato da Medea, arriva Giasone il quale, convinto della sincerità del pentimento e delle parole di riconciliazione della donna, accompagna lui stesso i figli dalla sposa per consegnarle i ricchi doni. Poco dopo ritorna con i due fanciulli il Pedagogo, che riferisce a Medea che Glauce ha accettato i doni e che si è mostrata ben disposta verso i bambini.
Rimasta sola con i figli, Medea, in un lungo pauroso monologo, esprime l'affetto per i due piccoli innocenti e la sua esitazione a compiere l'orrendo infanticidio, ma poi sente che il desiderio della vendetta in lei prevale sulla tenerezza e sul sentimento materno.
Giunge un messo che racconta a Medea la morte di Glauce e di Creonte che aveva tentato di aiutare la figlia.
Medea gioisce della notizia e non esita a compiere l'ultimo tremendo delitto: con la spada in pugno entra nel palazzo ed uccide i due figli innocenti.
Quando Giasone si presenta per vendicare la morte di Glauce, il coro lo informa che anche i figli sono stati uccisi dalla madre.
Giasone, gridando, cerca di forzare il portone sprangato del palazzo per contemplare i corpi dei figli uccisi e punire la madre assassina.
Ma in quel momento appare al di sopra della casa un carro tratto da due draghi alati (deus ex machina), sul quale si trovano Medea e i cadaveri dei suoi due fanciulli.
Medea, inesorabile, grida a Giasone che sua è la colpa di quanto è avvenuto e gli nega anche il conforto di seppellire e di piangere i suoi figli.
Medea sparisce nell'aria sul carro alato, mentre Giasone si allontana lentamente piangendo la sua colpa con la sua sventura e imprecando invano contro Medea.
La tragedia viene rappresentata in Atene nella Grandi Dionisiache del 431 avanti Cristo.
Nella gara drammatica Euripide si classifica terzo, dopo Euforione e Sofocle, con una tetralogia di cui faceva parte, oltre Medea, Filottete, Ditti e il dramma satiresco I Mietitori.
Per la Medea il poeta trae ispirazione dal mito degli Argonauti, la cui impresa culmina nella conquista del Vello d'oro.
Non si possono trovare parole che consentano di giustificare apertamente Medea, eroina del teatro greco dal grande cuore di madre e di amante; tuttavia è possibile comprenderla se si indaga nel suo animo e si ascolta il suo sentimento.
Scaturiscono così le motivazioni che giustificano le sue azioni: esse si riconducono all'orgoglio trafitto, alla umiliazione istintiva di donna oltraggiata, all'amore puro e senza riserve che non tollera di-scriminazioni e condizionamenti di sorta.
Se, pertanto, la vendetta organizzata da Medea è abnorme rispetto ai canoni della vita comune, essa appare invece logica e naturale quando la vita è vissuta nella profondità e nella pienezza dell'umano sentire.
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