Madea 1972
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Medea di Euripide 1972
Nel prologo la vecchia nutrice di Me¬dea impreca contro Giasone che ha ab¬bandonato la fedele compagna, la maga che lo ha aiutato a conquistare il Vello d'oro e che gli ha dato due figli, e sta per contrarre nuove nozze con Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto. La nutrice te¬me che Medea, disfatta dal dolore, offesa e umiliata, desiderosa di vendetta, possa compiere da un momento all'altro qual¬che atto irreparabile. Giunge il Pedagogo il quale cominica alla nutrice che Creonte ha deciso di cacciare dalla città Medea ed i suoi figli. Esce quindi dal palazzo Me-dea, la quale si mostra subito al coro di donne corinzie, lamentando la sua sventu¬ra e la condizione di inferiorità in cui è te¬nuta la donna rispetto all'uomo. Creonte viene personalmente ad intimare a Medea di lasciare subito Corinto assieme ai figli. Medea, avendo subito intuito che ogni re¬sistenza sarebbe vana e che potrebbe an¬che pregiudicare i suoi disegni di vendet¬ta, si finge serena e rassegnata e riesce ad ottenere dal sovrano l'indugio di un gior¬no per poter portare a termine la sua ven¬detta. Compare quindi Giasone in perso¬na, che tenta di spiegare alla donna, con discorsi gretti e con goffi pretesti, i motivi della sua condotta; ma Medea rinfaccia al capo degli Argonauti la sua meschinità e il suo tradimento: l'erose senza macchia del mito è qui un cinico e vile opportunista. Medea, dopo avere ottenuto la promessa di essere protetta ed ospitata in Atene dal re Egeo, che si trova di passaggio a Corin¬to, reduce da una visita al tempio di Apol¬lo in Delfi, sicura ormai dell'asilo, prepara la sua vendetta, rivelando al coro il suo atroce piano: si fingerà pentita e tranquil¬la, chiederà a Giasone di revocare l'esilio per i figli, invierà alla nuova sposa di lui, per mezzo dei figli stessi, un peplo lus¬suoso e una ghirlanda d'oro, intrisi di un potente veleno, doni che riusciranno fata¬li alla giovane Glauce ed al padre. Poi, per colpire più a fondo lo sposo spergiuro, non esiterà ad uccidere anche gli incolpe¬voli figli. Chiamato da Medea, arriva Gia¬sone il quale, convinto della sincerità del pentimento e delle parole di riconciliazio¬ne della donna, accompagna lui stesso i fi¬gli dalla sposa per consegnarle i ricchi do¬ni. Poco dopo ritorna con i due fanciulli il Pedagogo, che riferisce a Medea che Glau¬ce ha accettato i doni e che si è mostrata ben disposta verso i bambini. Rimasta so¬la con i figli, Medea, in un lungo pauroso monologo, esprime l'affetto per i due pic¬coli innocenti e la sua esitazione a com¬piere l'orrendo infanticidio, ma poi sente che il desiderio della vendetta in lei pre¬vale sulla tenerezza e sul sentimento ma¬terno. Giunge un messo che racconta a Medea la morte di Glauce e di Creonte che aveva tentato di aiutare la figlia. Me¬dea gioisce della notizia e non esita a compiere l'ultimo tremendo delitto: con la spada in pugno entra nel palazzo ed uc¬cide i due figli innocenti. Quando Giasone si presenta per vendicare la morte di Glau¬ce, il coro lo informa che anche i figli so¬no stati uccisi dalla madre. Giasone, gri¬dando, cerca di forzare il portone spran¬gato del palazzo per contemplare i corpi dei figli uccisi e punire la madre assassina. Ma in quel momento appare al di sopra della casa un carro tratto da due draghi alati (deus ex machina), sul quale si trova¬no Medea e i cadaveri dei suoi due fan¬ciulli. Medea, inesorabile, grida a Giasone che sua è la colpa di quanto è avvenuto e gli nega anche il conforto di seppellire e di piangere i suoi figli. Medea sparisce nel¬l'aria sul carro alato, mentre Giasone si al¬lontana lentamente piangendo la sua col¬pa con la sua sventura e imprecando inva¬no contro Medea.
La tragedia viene rappresentata in Atene nella Grandi Dionisiache del 431 avanti Cristo. Nella gara drammatica Eu¬ripide si classifica terzo, dopo Euforione e Sofocle, con una tetralogia di cui faceva parte, oltre Medea, Filottete, Ditti e il dramma satiresco I Mietitori Per la Me¬dea il poeta trae ispirazione dal mito degli Argonauti, la cui impresa culmina nella conquista del Vello d'oro.
La tragedia, che ha una perfetta uni¬tà estetica, è il capolavoro di Euripide ed è soprattutto un autentico gioiello di psi¬cologia. Il poeta analizza profondamente la psicologia di una donna tradita nel suo amore smisurato: ella non uccide né il marito né se stessa, bensì la rivale e i figli Medea è una creatura gelosa ed appassio¬nata, che nulla lascia d'intentato pur di non perdere l'uomo amato, al quale ella, donna barbara ed incivile, insegna il senso dell'onore e della fedeltà, sostenendo il diritto più profondo dell'amore e della donna contro l'egoismo e la mediocrità dell'eroe Giasone.